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Quando i bambini lasciano morire i loro genitori

Play Therapy nella Striscia di Gaza

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Quotidiano ZeitOnline | Intervista: Play Therapy nella Striscia di Gaza 11.03.2010

Claudio Mochi, Esperto internazionale di interventi d'Emergenza e Play Therapy, intervistato da Maria Krausch di ZeitOnline parla della sua esperienza nella Striscia di Gaza. Proponiamo di seguito alcuni estratti dell'intervista. Trovate l'articolo integrale in tedesco a questo link.

 

Quando i bambini lasciano morire i loro genitori

Dopo il terremoto, la guerra o uno spostamento i bambini traumatizzati riescono a malapena a parlare in terapia. Vi proponiamo l'esperienza di uno psicologo italiano che "riporta in vita" i bambini attraverso la Play Therapy

Per oltre 10 anni Mochi ha giocato con bambini di tutto il mondo: Pakistan, Iran, Palestina, Afghanistan, Libano... portando con sé il necessario: materiale artistico, macchinine, bambole, mattoncini del Lego.

"Spesso i bambini finiscono il racconto delle loro storie molto bruscamente, in questo modo controllano la tragedia che sopraffà le loro bambole", spiega Mochi. Questo è il cuore della Play Therapy che lo psicologo romano applica con i bambini traumatizzati. Se i bambini ripetono la loro disgrazia possono iniziare ad autoguarirsi, sono in grado di decidere come andrà a finire la storia o quando ne usciranno. In questo modo riacquistano il controllo e riportano gioia nella loro vita.

I bambini in Libano reagiscono in modo diverso rispetto all'Abruzzo, dove recentemente si è verificato il terremoto? Mochi non paragona i bambini, né la sofferenza e la disponibilità della gente nei confronti degli psicologi. Ma una cosa è certa: in tutto il mondo il gioco è il linguaggio più naturale dei bambini.

La Play Therapy differisce chiaramente dalle solite terapie in uso dopo le catastrofi naturali ed include sempre momenti di condivisione di gruppo con gli adulti sopravvissuti. Gli psicologi si rivolgono a molte persone contemporaneamente cercando di incoraggiarle a ripristinare il tessuto sociale e a creare prospettive di ricostruzione che un giorno possano continuare senza l'aiuto di organizzazioni esterne.

Ma le terapie verbali e le cosiddette terapie "basate sulla comunità" raggiungono rapidamente i loro limiti con i bambini traumatizzati. Mochi spiega che l'interazione verbale non è in grado di stimolare le aree cerebrali del sistema limbico che devono essere attivate per superare il trauma. Le conversazioni possono essere certamente funzionali con l'adulto ma meno per il trattamento dei pazienti pediatrici. Stress e trauma sono trattati da altre parti del cervello.

Per tali ragioni Mochi utilizza la Play Therapy: "Imparo a conoscere il bambino, lo ascolto, accetto qualsiasi ruolo mi attribuisca nel gioco, se il bambino non è ancora pronto, gli propongo delle attività. Solo una volta rotto il ghiaccio, possiamo andare oltre ed iniziare il processo di elaborazione degli eventi". Di solito i bambini testano i limiti e misurano i loro punti di forza con gli psicologi. Questo permette a loro di iniziare ad acquisire nuovamente la forza. Nel gioco i villaggi distrutti vengono ricostruiti o riforniti di cose utili.

Nel gioco i bambini sono spontanei, si sentono sicuri di sé, hanno il controllo su ciò che sta accadendo, hanno la sensazione di riprendere in mano la loro vita. Il gioco può essere divertente e permette di mantenere una distanza di sicurezza da ciò che viene espresso. Sempre più terapeuti tradizionali iniziano a incorporare elementi di Play Therapy nel loro trattamento: per esempio utilizzano dei giocattoli quando si rivolgono ai bambini. La grande differenza sta nella gestione del trauma; giocando la tragedia può essere superata.

"Ho notato la naturalezza con cui i bambini raccontano attraverso il gioco di case distrutte e dei loro genitori uccisi", dice Mochi. Più piccoli sono i bambini, più spazio è lasciato all'immaginazione e alla prospettiva di poter costruire un futuro migliore. È molto più difficile per gli adolescenti superare il loro trauma.

È utile che i genitori aiutino i professionisti a capire i loro figli, ad interpretare la loro lingua e le loro espressioni mentre giocano spesso di guerra, morte e supereroi. Gli psicologi e i genitori elaborano una prospettiva per la famiglia. "Sfortunatamente molti dei miei colleghi usano la terapia come se fosse una medicina a cucchiaio", dice Mochi. Il nocciolo della questione è instaurare una relazione di fiducia a lungo termine, ecco perché egli cerca sempre di coinvolgere nel processo la gente del posto.

A seguito del devastante terremoto, Mochi è ora in partenza per Haiti: "Stimo che il 5-10% dei bambini sia gravemente traumatizzato ed è quindi necessario un aiuto specialistico".

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